Ingegneria Finanziaria Derivati, Opzioni e Future

Opzioni MIBO – Fondamenti del trading direzionale con i Futures

 

 

… come evitare di restare incastrati nelle trappole delle “mani forti”…

Cari amici, nelle scorse settimane abbiamo sviscerato, nei precedenti articoli scritti dal nostro Caranti, tutti gli aspetti teorici sullo strumento future, il suo legame con il sottostante, ed accennato al ruolo dei Sistemi Automatici nell’operatività in Borsa. A questo punto, pertanto, non ci manca nulla per iniziare, sia pure con cautela, a diventare effettivamente operativi. Quest’ oggi intendo esporvi alcuni semplici rudimenti per operare sull’ S&P/Mib Future in modo assennato, non certo col proposito di assicurare facili guadagni anche perché, come ben sapete, l’obiettivo primario di www.francescocaranti.com è esclusivamente quello di fornire conoscenza e consapevolezza, escludendo qualsiasi forma di sollecitazione.

Supponiamo pertanto di essere davanti al nostro monitor, a mercato aperto, e di voler prendere posizione rialzista, o ribassista, sul future nostrano. La prima riflessione da fare riguarda la nostra capacità finanziaria: in altri termini, occorre valutare se il capitale a nostra disposizione ci permette di sostenere la posizione. 

Non intendo in queste pagine sviluppare un trattato di money management, in quanto è sufficiente un po’ di buon senso. Ad esempio, sarebbe un errore gravissimo, qualora disponessimo di 18.000 € sul conto, prendere posizione sul Future solo perché la nostra banca ci permette di farlo, essendo il margine di soli 14.000 € : nella realtà noi ci esponiamo su ben 140.000 € , a causa del forte effetto leva dello strumento future. Se ad esempio fossimo long (a rialzo) e ci imbattessimo in un lunedì nero come quello della scorsa settimana, o il MLK Day dello scorso Gennaio, con perdite di circa 1400 punti, ci troveremmo a fine giornata sotto di ben 7000 €, immediatamente stornati dal conto, con liquidità conseguentemente ridotta a soli 11.000 € . A quel punto, o siamo in grado di reintegrare i margini aggiungendo nuova liquidità, o altrimenti la nostra banca ci chiuderà d’ufficio la posizione, con perdita assai dolorosa e conseguente espulsione dal mercato : fin quando infatti non reperiremo la liquidità necessaria, non potremo più partecipare agli scambi dei futures. 

Ed in ogni caso, eravamo partiti con 18.000 €, e ci ritroviamo adesso con 11.000 €. Abbiamo accusato una perdita di circa il 39% del capitale di partenza, e per ricostituirlo dovremo ottenere, a partire da ciò di cui disponiamo, una performance di ben il 63% : non c’è male davvero come prima applicazione sulla nostra pelle della Legge della Rovina Statistica (http://www.francescocaranti.net/oltre_la_borsa/de_moivre_de_finetti) !!! Molto più semplice sarebbe stato entrare in Borsa con una leva minore, cioè con un Mini, consapevoli dei limiti posti dal nostro capitale. Col Mini (1 € per ogni punto Indice) si “spostano” la bellezza di 28.000 € di controvalore, niente male se si pensa che l’operazione ci espone su una cifra maggiore di quanto possediamo nella realtà, ma assai più accettabile rispetto al caso del future “grande” . Avremmo perso infatti, quel lunedì, non 7000 €, ma 1400 €, non pochi, ma molti meno, e soprattutto con la possibilità di ripartire da 16.600 € e non da 11.000 €, quindi con la necessità di fare una performance dell’ 8% , e non del 63%, per ricostituire il capitale di partenza. Un 8% , con una o due operazioni vincenti è sempre possibile, un 63% è difficilissimo, ai limiti dell’ impossibilità. Su questo concetto insisto e continuerò a farlo in futuro, anche a costo di risultare tedioso, in quanto su questo tema proprio non si può scherzare: la Legge della Rovina Statistica non perdona. Sfortunatamente, sono proprio gli Operatori alle prime armi, che costituiscono posizioni troppo grandi per la liquidità di cui dispongono, spinti dalla bramosia di facili guadagni, ed inutile dire come va a finire : “con un mini cosa ci faccio, va là, entro con un fibbone…” ; quando invece sarebbe corretto dire “ora ho pochi soldi ed inizio ad operare con il mini, dopo aver guadagnato un po’ passerò a due mini, e così via” . Bene, con ciò abbiamo chiarito il problema del “position sizing” (“dimensionamento della posizione”), il cuore del money management.

E adesso si presenta il vero dubbio amletico : comprare o vendere, questo è il problema! In questa sede non intendo certo trattare i vari metodi utilizzabili per cercare di prevedere la direzione del mercato dopo il nostro ingresso, per quello ci sono gli innumerevoli manuali di Analisi Tecnica; anche perché invero non esiste alcun sistema “sicuro” , o quantomeno “totalmente affidabile”, soprattutto tra quelli che si trovano in giro, acquistabili per qualche centinaia di euro!

So bene che esprimendomi in questi termini susciterò il malumore di quanti, delegando le loro decisioni ad un sistema automatico, sono sicuri di aver eliminato dalla loro attività di trading  la componente emotiva, responsabile della maggior parte dei loro errori con conseguenti perdite, e quindi pensano solo con questo di essere sulla buona strada per ottenere grandi soddisfazioni. Ma riflettiamoci un attimo: se bastasse davvero applicare in modo totalmente passivo un sistema automatico, ancorché buono per guadagnare in modo costante, il suo ideatore avrebbe la possibilità di arricchirsi enormemente operando direttamente sul Mercato, e allora se ne guarderebbe bene dal divulgare il suo sistema per cifre irrisorie! Estremizzando il concetto, se voi foste in possesso dei numeri vincenti al Lotto, che fareste, li vendereste per poche centinaia di euro, o li giochereste voi? Credo che ogni ulteriore commento sia inutile . Del resto Caranti scrive chiaramente (http://www.francescocaranti.net/opzioni/sistemi_automatici_trading) che l’ utilizzo di un buon sistema è certamente un valido aiuto, ma che da solo, ossia senza consapevolezza,  buonsenso e adeguati strumenti software di controllo costante del portafoglio, non è certo n grado di assicurare i risultati sperati. Il mio amico Caranti mi ha detto più di una volta che “il Sistema perfetto non esiste per il semplice fatto che non può esistere” e in effetti gli debbo dare ragione: la Borsa è pur sempre un “cammino casuale” e gli algoritmi del Sistema fanno quello che possono, non certo i miracoli.

In ogni caso supponiamo di essere entrati, long o short rialzo o ribasso) con o senza l’ aiuto di un Sistema. A questo punto viene la parte più difficile, ovvero la gestione delle posizioni aperte. Se individuare un buon livello di ingresso è impresa difficile, farlo per l’uscita lo è decisamente di più, in quanto oltre al problema tecnico subentra anche il problema psicologico; soprattutto nel caso che il mercato si riveli sfavorevole. I grandi maestri del trading direzionale sono soliti dire “lascia correre i profitti, taglia le perdite” . Come dar loro torto, soprattutto vedendo come la maggior parte degli operatori faccia l’esatto contrario, uscendo in gain di pochi spiccioli quando il mercato è loro favorevole, e accumulando perdite ingenti quando dà loro contro? Tutti hanno familiarità con il concetto di stop loss (stoppare le perdite), ma la sua applicazione, ancorché disciplinata, non porta a buoni risultati se non abbinata ad una corretta gestione del take profit (presa di profitto).

Riflettiamo un momento su questo tema : se ad esempio fossimo in grado di eseguire ingressi “giusti” 5 volte su 10, e nei 5 ingressi sbagliati stoppassimo opportunamente le perdite, lasciando correre i profitti nei rimanenti, saremmo complessivamente in buon gain. Quindi potremmo imporci una regola secondo cui il profitto sugli ingressi giusti debba essere pari a 2 o 3 volte la massima perdita che decidiamo di sopportare sugli ingressi sbagliati, dopodiché la dobbiamo applicare con metodo e disciplina, cosa per nulla facile: la psicologia umana è in effetti particolarmente restia ad ammettere gli errori, quindi un operatore che abbia una posizione long in perdita tende a darsi comunque ragione (“tanto ora risale, tanto ora risale”… e invece continua a scendere!), e io posso confermarlo perché mi è capitato e mi capita tuttora.

Ma anche se fossimo diligenti e disciplinati, comunque non sarebbe facile. Il problema del posizionamento del livello di uscita resta difficilissimo: nel caso dello stop loss, se lo si pone troppo vicino, scatta troppo facilmente, provocando piccole ma ripetute perdite, anche a causa di movimenti estranei al trend primario del mercato. E ciò soprattutto in corrispondenza di livelli significativi di supporto o resistenza. Non è raro infatti che le “mani forti” si mettano a giocare con i piccoli operatori come il gatto col topo, provocando ad arte false rotture rialziste (“bull trap”) o ribassiste (“bear trap), in corrispondenza delle quali il trader esce in perdita, per poi vedere poco dopo che il suo ingresso si sarebbe rivelato corretto!

Si potrebbe ovviare ponendo il livello di uscita più largo, per filtrare un bel po’ di falsi segnali, ma così facendo, se si viene “colpiti”, la perdita è dolorosa. Simili inconvenienti possono verificarsi anche nella gestione della posizione in profitto : può infatti accadere che il livello di take profit che ci siamo dati non venga raggiunto, e magari il mercato torni sui suoi passi, facendo addirittura scattare lo stop. A complicare ulteriormente il quadro ci sono infine le aperture in gap (apertura al ribasso nettamente sotto il minimo della seduta precedente, o al rialzo, sopra il massimo della seduta precedente), essendo il nostro indice fortemente condizionato dalla chiusura delle borse statunitensi e asiatiche. Quando si verifica il gap, il livello di uscita che ci siamo dati viene saltato dal mercato con una facilità irrisoria, senza poter in alcun modo intervenire … come del resto il gap può essere a favore, generando profitti inattesi. E non c’è nulla che l’ operatore possa fare per modificare questo stato di cose, altrimenti per guadagnare basterebbe applicare sistematicamente le regole che ci siamo dati su stop loss e take profit, magari in automatico, mentre sappiamo bene che non è così facile. Solo la grande sensibilità ed esperienza del trader possono contribuire a migliorare … ma per acquisire queste qualità occorre prima di tutto sopravvivere nel mercato per il tempo necessario a maturarle !

Bene, per adesso ci possiamo fermare. Certamente non abbiamo affrontato in modo esaustivo le problematiche del trading direzionale con i futures, ma quantomeno sono stati illustrati alcuni criteri fondamentali per affrontare l’ operatività con buonsenso, consapevolezza, e qualche chance di profitto in più . Se infatti apriamo posizioni proporzionate alla nostra liquidità (corretto position sizing), e dopo averle aperte le gestiamo con metodo e disciplina, certamente ciò non ci dà la garanzia di guadagnare sempre, ma se non altro di evitare grandi disastri. E questo è già un risultato estremamente importante: le statistiche dimostrano impietosamente che il 90% dei trader in strumenti derivati entro due anni spariscono, fagocitati dai “macellai” dell’ Idem – Italian Derivative Market – (o dell’ Eurex, o CME, anche nei grandi mercati esteri capita sempre la stessa cosa!).

Se tutti questi operatori fossero risusciti a proteggere quantomeno il loro capitale per più tempo, magari sarebbero riusciti con l’impegno e l’esercizio a migliorare, fino a diventare davvero bravi. Ma invece, proprio per non aver seguito questi umili, banali, ma sentiti suggerimenti (posizione troppo grande per la loro liquidità e cattiva gestione di profitti e perdite, alla fine i motivi sono sempre quelli!), sono caduti nella tagliola delle “mani forti”, e conseguentemente diventati carne da macello: perché dobbiamo sempre aver ben chiaro che se noi ci roviniamo, dall’ altra parte c’è qualcuno che si ingrassa !

Grazie per l’attenzione, vi aspetto sempre più numerosi per i prossimi interventi.

Giangiacomo Rossi