Osti e vini n. 22

 

 

 

 

Cosa cosa sono gli etf lo saprete tutti, ma è sempre meglio procedere con ordine se si vuole fare chiarezza …

 
Iniziamo dal nome “Exchange Traded Fund”.
Quindi sono fondi! Esatto e sono assoggettati alla medesima disciplina dei fondi comuni di investimento. Patrimonio separato del fondo rispetto alla banca depositaria e alla Sgr che lo gestisce, cioè non esposto al rischio di credito di altri soggetti. Investimento differenziato, cioè non è possibile che il fondo concentri tutto il suo investimento su un rischio unico (una materia prima, ad esempio).
 
Sono quindi fondi, ma gestiti in maniera passiva, cioè replicano l’andamento del valore di un indice di riferimento. Il gestore si limita a replicare, non fa valutazioni, previsioni, scelte. E questo, nella maggior parte dei casi è un bene, perché oltre il 90% dei fondi comuni è sotto benchmark, cioè la sua performance è inferiore al benchmark reale di riferimento, proprio perché fa valutazioni, previsioni, scelte e queste devono essere remunerate dal cliente, sia nel caso in cui risultino azzeccate sia quando non lo siano per niente.
Gli Etf sono quotati in borsa, con negoziazione continua, e quindi facilmente accessibili a tutti gli investitori, sia istituzionali (le banche) che privati (noi).
Le commissioni degli Etf, non essendo gestiti, sono di conseguenza estremamente contenute. Non ci sono commissioni d sottoscrizione o di rimborso, c’è una commissione di intermediazione che varia a seconda della banca presso cui effettuiamo l’operazione, c’è una commissione di gestione annuale molto bassa, si aggira sulla 0,30-0,40, calcolata ogni giorno proporzionalmente e dedotta dal valore patrimoniale netto del fondo. Stop.
Gli Etf sono stati introdotti negli USA nel 1993, da allora sono stati quotati circa 900 ETF, per un patrimonio gestito di oltre 490 miliardi di Euro. Ricordo che sono compresi gli investitori istituzionali nel conteggio. In Europa hanno iniziato nel 2000, in Germania, ed attualmente sono circa 300 gli ETF negoziabili nella Unione Europea.
Una nota dolente è il trattamento fiscale riservato agli ETF in Italia.
 
I guadagni/perdite dovuti alla negoziazione di azioni si definiscono REDDITI DIVERSI ( “plusvalenze” e “minusvalenze”). I dividendi staccati dalle azioni stesse invece sono classificati all’interno dei REDDITI DI CAPITALE. La normativa fiscale consente di compensare REDDITI DIVERSI con REDDITI DIVERSI (di compensare le “plusvalenze” realizzate con eventuali “minusvalenze” pregresse), mentre non consente di compensare REDDITI DIVERSI con REDDITI DI CAPITALE.
Gli ETF “armonizzati”, sono equiparati ai Fondi e alle Sicav: i redditi conseguenti dalla negoziazione di ETF non vengono di conseguenza classificati semplicemente come REDDITI DIVERSI, ma sono divisi in due componenti.
 
La prima componente, che la normativa fiscale ha inquadrato come REDDITO DI CAPITALE, è calcolata come differenza tra il NAV del giorno di vendita e il NAV del giorno di acquisto. Se il regime fiscale prescelto dall’investitore è quello del risparmio amministrato a questa differenza, se positiva, si applica la consueta aliquota sostitutiva del 12,5% che vale a titolo d’imposta.
 
La seconda componente è dovuta al fatto che i prezzi a cui l’investitore acquista/vende sul mercato le quote dell’ETF sono generalmente diverse dal NAV, calcolato sui prezzi di chiusura. La normativa fiscale ha definito questa come REDDITI DIVERSI, e si calcola:
(Prezzo Vendita dell’ETF-Prezzo Acquisto dell’ETF)-(NAV giorno di Vendita-NAV giorno di Acquisto).
Anche a questa seconda componente, se positiva, si applica l’aliquota del 12,5% che vale a titolo d’imposta. Se la differenza tra i NAV è superiore alla differenza dei prezzi l’investitore accumula minusvalenze anche in corrispondenza di un delta prezzi positivo.
 
Come detto la normativa non consente di compensare REDDITI DIVERSI con REDDITI DI CAPITALE, e quindi non consente di compensare le perdite (minusvalenze) pregresse su azioni con i REDDITI DI CAPITALE (prima componente) appena realizzati con gli ETF. Consente invece di compensare le perdite (minusvalenze) pregresse su azioni con i REDDITI DIVERSI (seconda componente). La seconda componente è però solitamente di entità molto più limitata rispetto alla prima componente.
 
Un facile esempio può essere d’aiuto per comprendere meglio questo meccanismo:
Prezzo Acquisto dell’ETF=100
Prezzo Vendita dell’ETF=110
NAV del giorno di acquisto=101
NAV del giorno di vendita=109
REDDITI DI CAPITALE=12,5%*(109-101)=1 Euro
REDDITI DIVERSI=12.5%*[(110-100)-(109-101)]=0,25 Euro
 
 
Regime fiscale a parte, parrebbero perfetti! Ma non sono così perfetti. Se ci pensate, il fatto che replichino pedissequamente l’indice è un bene o un male? Certamente un bene se confrontati con i fondi che fanno la stessa cosa e si fanno pagare, se pensiamo ad una commissione di gestione media di un fondo che si aggira intorno al 3,5% e che replica poi l’indice, la differenza è di almeno un 3% a favore degli ETF.
Il problema è che l’ETF andrebbe “gestito”. Mi spiego: il fondo compra e vende i sottostanti come crede, questo per l’investitore privato sarebbe difficoltoso. La gestione di cui parlo è l’acquisto e la vendita del fondo medesimo al momento opportuno, e questo è quello che fa un Consulente Finanziario Indipendente. Fa una gestione della gestione. E’ quello che dovrebbero fare le GPF e le GPM, ma esse spesso non ottengono risultati positivi per via del conflitto di interessi (acquistano i prodotti finanziari che convengono di più alla loro rete) e per via dei costi di gestione (se sommiamo il 3,5% del costo del fondo più un altro 3% del costo della GPF o GPM) capirete che è impossibile che siano realisticamente in grado di produrre un utile per l’investitore.
E’ necessario anche tener presente che i benchmark che vengono raffrontati ai fondi per indicare le performance, sono sempre calcolati senza i dividendi. Questo significa che, calcolando un dividendo medio annuo del 5% per il mercato italiano, un bechmark senza questa componente sarà già in partenza inferiore alla prestazione del fondo, nel quale invece i dividendi sono presenti. Se poi parliamo di un fondo total return, ancora peggio.
Il consulente indipendente invece non ha obblighi di acquisto, e quindi cerca di acquistare ciò che rende meglio e costa meno, e la sua parcella è di gran lunga inferiore al costo del gestore.
 
Questo significa che su un patrimonio di 100.000€, se affidato alle gestioni tradizionali, vengono prelevati dai 3500 ai 6500 euro l’anno; mentre se ci si affida ad un consulente si pagheranno circa 300-400 € per i costi di gestione degli Etf, qualche decina di euro per le commissioni di intermediazione dei medesimi e la parcella al professionista. In ogni caso sarà un bel risparmio!
E non crediate che i risparmiatori più facoltosi vengano trattati meglio dalle GPM o dalle GPF, perchè il prelievo in percentuale è identico, mentre un consulente applica percentuali inversamente proporzionali all’aumentare del capitale oggetto di consulenza.
Immaginate su un patrimonio di 1.000.000 di euro cosa significhi.
Sono da 35.000 a 65.000 euro di commissioni, mentre con l’ausilio di un consulente indipendente spendereste, al massimo, 10.000 € tra parcella, costi e commissioni varie, quindi un risparmio minimo di 25.000 euro all’anno.
 
Una tabella esemplificativa


 
Niente male davvero, soprattutto se considerate che il consulente lavora nel vostro esclusivo interesse ed in assenza di conflitto di interessi!
Nel prossimo appuntamento cercherò di spiegarvi i minimi e i massimi della parcella del consulente.
 
Marco Degiorgis
Per informazioni, commenti o curiosità scrivete a: md@francescocaranti.net