OV 10 - Osti e Vini

 

 

 

 

“Il consulente finanziario indipendente:

1)      non ha alcun mandato da parte di sim, sgr o banche
2)      non vende quindi nessun prodotto ma
3)      consiglia i propri clienti quindi
4)      la sua formazione professionale e’ orientata all’analisi e alla comprensione dei prodotti finanziari
5)      viene remunerato solo dal cliente
6)      non deve far sottoscrivere nessun modulo
7)      non entra mai in possesso del denaro del cliente e non gestisce il suo conto
8)      la sua remunerazione e’ svincolata dalla tipologia di prodotto consigliata”
 
Cari Amici di Osti e Vini, rieccoci a noi. Ormai abbiamo imparato a conoscere i personaggi della rassegna; Alceste l’oste e suo fratello gemello Berengario il bancario, Nestore l’avventore e il suo amico Ulrico. E’ entrato in scena, nella penultima puntata, un nuovo amico, Dagoberto l’esperto, che ci ha spiegato la differenza tra un consulente e un promotore.
Chi è questo Dagoberto e come mai lo definiamo esperto? Beh, il nostro uomo ha una formazione finanziaria di livello elevato e si interessa da molti anni, a livello professionale, di economia e finanza. Ha avuto una cattedra in econometria all’università di Brescia e ora ha un incarico presso la Bce. Lo interpelleremo quando vorremo fare luce sui vari argomenti (è munito anche di una bella torcia elettrica, a scanso di equivoci e per ogni evenienza).
Ad esempio, vorremmo chiedergli cosa fa invece un consulente:
 


 

Bene, quindi possiamo dire che il consulente finanziario indipendente è una figura professionale assimilabile all’avvocato, al commercialista, all’architetto; viene pagato dal cliente e ne cura gli interessi. Il consulente non è quindi un venditore, ma un professionista e come tale la sua opera è vincolata ad una obbligazione di mezzi e non di risultati. Che significa? Che come l’avvocato non può garantire al cliente che vincerà la causa o il medico non può garantire la guarigione del paziente, così il consulente agli investimenti non potrà garantire al cliente di riuscire a fare meglio del mercato. Qualunque professionista è obbligato ad impegnarsi con tutte le proprie forze e capacità al fine di ottenere un buon risultato per il cliente, ma non è obbligato a raggiungerlo. Il cliente deve comunque pagarlo anche se fallisce l’obiettivo. Questo è ciò che dice il nostro ordinamento giuridico. Qual è la ragione, perché un professionista non “garantisce”? La spiegazione risiede nel fatto che nessun professionista è in grado di prevedere e controllare le cause esogene, da lui indipendenti. Ad esempio l’avvocato non può sapere come verrà giudicato il suo cliente dal giudice, il medico non può conoscere come una malattia si possa evolvere se nascono delle complicazioni e cosi via. E’ abbastanza ovvio che un professionista è considerato bravo quando riesce ad ottenere un buon risultato per il proprio cliente nella maggior parte dei casi. Se un avvocato perde tutte le cause, faticherà parecchio a trovare nuovi clienti. Quindi è nell’interesse principale del professionista operare con la massima cura e diligenza, va contro il suo interesse non raggiungere gli obiettivi prefissati con il cliente.
 
         
 
Bravo Nestore! Hai capito!
Ulrico ha però introdotto un argomento interessante: il consulente guadagna in proporzione…
Potrebbe essere un’idea; se il cliente guadagna, guadagna anche il consulente, altrimenti nisba!
Proviamo a fare un esempio e vediamo se può funzionare:
Ipotizziamo che il consulente agli investimenti abbia impostato, per il suo cliente, questa asset allocation, per un valore complessivo di 100.000€:
 
CASO A
azioni
30%
30000€
 
 
obbligazioni
50%
50000€
 
 
monetario
20%
20000€
 
 
totale
100%
100000€
 
 
 
Tralasciando per il momento di specificare i prodotti di investimento, supponiamo che abbia concordato una remunerazione a percentuale sui risultati raggiunti, di questo tipo:
 
azioni
30% sulla overperformance
Al raggiungimento di un benchmark
obbligazioni
30% sulla overperformance
Al raggiungimento di un benchmark
monetario
30% sulla overperformance
Al raggiungimento di un benchmark
 
 Cos’è la “overperformance”? E’ il rendimento dell’investimento oltre un certo limite prefissato, il benchmark. In pratica il cliente pagherà il consulente solo se l’investimento da questi proposto supererà una certa soglia definita in partenza.
Vediamo ora quanto hanno reso gli investimenti in oggetto ad un anno e quanto ha fatto il benchmark di riferimento:
 
asset class
Percentuale di rendimento ottenuta con la consulenza
Rendimento benchmark
azioni
20%
Benchmark 12%
obbligazioni
5,5%
Benchmark 3%
monetario
3%
Benchmark 1,5%
 
Facciamo due conti:
Asset class
rendimento
overperformance
Parcella consulente
(30% della OverPerformance)
Rendimento netto
(rendimento-parcella)
Rendimento netto %
azioni
6000
20-12=8% =2400
720
5280
17,6%
obbligazioni
2750
5,5-3=2,5%=1250
375
2375
4,75%
monetario
600
3-1,5=1,5%=300
90
510
2,55%
totale
9350€
 
1185€
8165€
8,165%
 
Al cliente questa consulenza è costata 1185 € su un capitale di 100.000 €, quindi in percentuale significa 1,185%; economica!
 
Ma se il rendimento di una classe di investimento fosse stato negativo ma meno negativo del benchmark? Beh, in quel caso il cliente avrebbe pagato comunque per la miglior performance: vediamo
CASO B
asset class
Percentuale di rendimento ottenuta con la consulenza
Rendimento benchmark
azioni
-22%
Benchmark -30%
obbligazioni
5,5%
Benchmark 3%
monetario
3%
Benchmark 1,5%
 
Rifacciamo due conti:
Asset class
rendimento
overperformance
Parcella consulente
Rendimento netto
Rendimento netto %
azioni
- 6600
8% =2400
720
-7320
-24,4%
obbligazioni
2750
2,5% =1250
375
2375
4,75%
monetario
600
1,5%=300
90
510
2,55%
totale
-3250€
 
1185€
-5455€
-5,455%
 
Oh oh, dev’essere successo qualcosa, la parcella del consulente è sempre di 1185, pari ad 1,185% e il rendimento netto è negativo. Il cliente ha perso ma ha pagato comunque il consulente, perché con la sua prestazione d’opera il suo investimento ha reso comunque di più di quanto abbia fatto il mercato.
 
Se introduciamo la clausola che l’overperformance viene calcolata solo in caso sia positivo il risultato, allora le cosa cambiano
CASO C
Asset class
rendimento
overperformance
Parcella consulente
Rendimento netto
Rendimento netto %
azioni
- 6600
0
0
-6600
-22%
obbligazioni
2750
2,5% =1250
375
2375
4,75%
monetario
600
1,5%=300
90
510
2,55%
totale
-3250€
 
465€
-3715€
-3,715%
 
Quindi diciamo che in quest’ultimo caso il consulente agli investimenti si assume il rischio insieme al cliente; risultato negativo, nessuna remunerazione. Qui sta il punto, nessuna remunerazione PER IL CONSULENTE, ma neppure nessun rischio di perdita, CHE INVECE IL CLIENTE SI ACCOLLA. Quindi non stiamo parlando dello stesso rischio che corre il cliente, semplicemente leghiamo la parcella ad un risultato.
Va bene, allora possiamo dire che con questo metodo di remunerazione il consulente si impegna maggiormente nel far ottenere un buon risultato al cliente e se non ci riesce non viene pagato.
 
Cosa succede però in casi come questo? Il consulente, sapendo di dover realizzare una performance elevata per ottenere una parcella degna o almeno positiva, porterà il proprio cliente ad assumere un rischio ben più elevato di quello dal cliente stesso assumibile, magari aprendo posizioni in derivati o aumentando l’esposizione azionaria o la componente intrinseca di rischio (aumentando, pur non variando le percentuali in asset class, la componente rischiosa dell’investimento, selezionando cioè titoli più rischiosi) . Vediamo sempre l’esempio:
CASO D
azioni
60%
60000€
 
 
obbligazioni
20%
20000€
 
 
monetario
10%
10000€
 
 
derivati
10%
10000€
 
 
totale
100%
100000€
 
 
 
Vediamo i risultati dopo un anno
asset class
Percentuale di rendimento ottenuta con la consulenza
Rendimento benchmark
azioni
20%
Benchmark 12%
obbligazioni
5,5%
Benchmark 3%
monetario
3%
Benchmark 1,5%
derivati
50%
Benchmark 12%
 
Asset class
rendimento
overperformance
Parcella consulente
Rendimento netto
Rendimento netto %
azioni
12000
8% =4800
1440
10560
17,6%
obbligazioni
1100
2,5%=500
150
950
4,75%
monetario
300
1,5%=150
45
255
2,55%
derivati
5000
38%= 3800
1140
3860
38,6%
totale
18400
 
2775
15625
15,625%
 
Per il cliente è andata bene, ma quanto gli è costato il consulente? 2775 €, pari al 2,775%: una bella cifra!
 
Cosa voglio dire con tutto ciò? Che il consulente sarà portato a far rischiare maggiormente il cliente, per guadagnare a sua volta. Quindi trascurare le classi a basso rendimento e incrementare quelle ad alto potenziale. Se poi i rendimenti dovessero risultare negativi, al cliente non rimarrebbe che leccarsi le ferite e pagare comunque profumatamente il consulente, come nell’esempio che segue.
 
Supponiamo di mantenere l’asset class precedente, ma che i risultati dopo un anno siano i seguenti:
 
CASO E
 
asset class
Percentuale di rendimento ottenuta con la consulenza
Rendimento benchmark
azioni
-10%
Benchmark -40%
obbligazioni
5,5%
Benchmark 3%
monetario
3%
Benchmark 1,5%
derivati
-20%
Benchmark -40%
 
Asset class
rendimento
overperformance
Parcella consulente
Rendimento netto
Rendimento netto %
azioni
-6000
30% =18000
5400
-11400
-19%
obbligazioni
1100
2,5%=500
150
950
4,75%
monetario
300
1,5%=150
45
255
2,55%
derivati
-2000
20%=2000
600
-2600
-26%
totale
-6600€
 
6195€
-12795€
-12,795%
 
E’ abbastanza evidente che in questo caso il consulente ha fatto molto meglio del mercato, quindi il cliente ha perso meno di quanto ha perso il mercato, ma il risultato è stato fortemente penalizzato dalla parcella del consulente, che si è portato a casa 6195€, cioè il 6,195% rispetto al capitale su cui ha prestato consulenza. Per lui non male ! Ma per il cliente ha comportato un rendimento netto doppiamente negativo, nel senso che ha raddoppiato la sua perdita (da 6600€ a 12795€, per effetto della parcella a percentuale).
 
Abbiamo sin qui considerato casi in cui il consulente riesce a far meglio del mercato, anche una volta dedotta la sua parcella. Ma ci potrebbero essere casi in cui il maggior rendimento è talmente risicato che, una volta applicata la parcella a percentuale, risulterebbe inferiore al benchmark. Vi lascio a fare le prove del caso.
 
Se invece fosse stata pagata dall’ipotetico cliente una parcella fissa, ad esempio 1000 euro all’anno, e confrontandola con le parcelle a percentuale dei vari casi esposti, possiamo vedere chiaramente che:
- è conveniente (costa di più solo del CASO C, che non è realisticamente praticato)
-è eticamente corretta (non espone il cliente a rischi finanziari oltre il suo grado di accettazione del rischio e non lo espone all’incertezza dell’esborso finale)
- è certa (il cliente sa sin dall’inizio quanto gli costerà la consulenza e potrà valutare se il costo è sostenibile)
- mantiene inalterata la diligenza e le capacità tecniche del consulente, che se vuole mantenere il cliente, dovrà sempre cercare di fare del proprio meglio (obbligazione di mezzi, dice la legge).
 
Intanto i nostri amici stanno confabulando qualcosa:
 
 
Anche i nostri due amici sono d’accordo che la remunerazione a percentuale, anche se a prima vista pare vantaggiosa, a conti fatti non è per nulla conveniente per il cliente e lo espone a maggiori rischi finanziari.
La remunerazione deve essere svincolata dal tipo di prodotto proposto, come ci diceva Dagoberto in apertura, cioè è fissata a prescindere dai risultati raggiunti. Come avviene per tutti i professionisti, d’altronde!
 
Bene, abbiamo scoperto delle cose nuove sulla consulenza finanziaria indipendente! Continuiamo così, magari chiedendo ancora a Dagoberto di illuminarci il cammino!
 
Alla prossima
 
Marco Degiorgis

 

Per informazioni, commenti o curiosità scrivete a: md@francescocaranti.net