Salvis iuribus, ovvero “fatti salvi tutti i diritti”!
Non so quanti di voi hanno già avuto esperienza della giustizia civile, spero pochi, ma, molto probabilmente, i relativi atti giudiziari si saranno senz’altro chiusi con il brocardo latino che da il titolo al presente contributo che conclude la nostra carrellata sui sistemi cha abbiamo a disposizione per la tutela dei nostri diritti, con l’analisi del processo civile.
Il processo civile, infatti, è proprio quell’attività per cui si procede per la tutela dei diritti.
E’ ovvio che per una descrizione dettagliata del processo civile non basterebbe un contributo, così come non ne basterebbero cento, ma mi sforzerò di essere chiaro e sintetico al tempo stesso per rendere evidenti quelli che sono i pro e i contro nel caso in cui si decidesse di “ fare causa ”.
E partiamo proprio da questi ultimi, cioè i contro, che sono, a mio avviso, l’eccessiva lentezza ed i notevoli costi di una causa.
Per quanto riguarda la lentezza, diciamo subito che il processo civile si svolge essenzialmente per iscritto, non ci sono, infatti, quelle belle arringhe che si vedono nei film, inoltre il codice di procedura civile, che contiene le norme che regolamentano lo svolgimento del processo, prevede che lo stesso si suddivida in più udienze dove, per ogni udienza, è prevista una determinata attività da svolgersi.
Tanto per essere pratici; l’attore, che è colui che da avvio alla causa, deve notificare alla controparte l’atto di citazione in giudizio almeno novanta giorni prima dell’udienza che lo stesso attore ha fissato nel medesimo atto di citazione. Ma, arrivato il giorno dell’udienza dinanzi al giudice, questi non deciderà la causa, ma si dovrà limitare a controllare la regolarità del contraddittorio, ossia che siano state rispettate tutte le norme previste per attivare un processo, prima di rinviare ad altra udienza, in cui, per esempio, potranno essere ascoltati i testimoni, per la prosecuzione del giudizio.
Il problema è che noi italiani siamo particolarmente litigiosi e ci facciamo causa per un nonnulla, questo ingolfa gli uffici giudiziari con un infinità di cause con la conseguenza che tra un’udienza e l’altra di uno stesso giudizio non trascorrono meno di sei – otto mesi, a volte anche un anno.
Se si considera che per un processo occorrono non meno di 4-5 udienze, è facile fare i conti.
E abbiamo parlato solo del primo grado di giudizio che, come si sa, non è definitivo, in quanto la relativa sentenza può essere appellata. Ma non finisce qui, poiché contro la sentenza che definisce l’appello si può ricorrere dinanzi la Corte di Cassazione che può anche cassare con rinvio, nel senso che rispedisce quella stessa sentenza ad altra sezione della Corte di Appello affinché adegui la sentenza impugnata ai principi espressi da essa Corte di Cassazione.
E’ chiaro che tutto questo iter per quelle che sono le disastrose condizioni in cui opera la giustizia nel nostro paese, può sembrare inutile e farraginoso, ma in realtà risponde a dei fondamentali e imprescindibili principi di democrazia e di civiltà giuridica e, sotto questo punto di vista, la nostra legislazione non ha nulla da invidiare a nessuno.
Per quanto riguarda i costi, va detto che sono elevati, ma non tanto in assoluto, quanto in relazione a quella che può essere la durata di un processo. Si sente spesso dire, infatti, che una giustizia lenta è una negazione della giustizia stessa.
Ma, per venire al dunque, come si determina il costo di una causa ?
Innanzi tutto dal suo valore.
E’ ovvio che se viene richiesto, ad esempio, un risarcimento di € 5.000,00 il costo della relativa causa sarà di gran lunga inferiore che se ne venissero chiesti 100.000,00.
Ma, entriamo subito nel dettaglio partendo da quelle che sono le c.d. “spese vive”, ossia marche da bollo, oggi apposte sotto forma di contributo unificato ( cambia la forma ma non la sostanza ), di cui di seguito vi riporto l’importo da versare preceduto dal relativo scaglione di riferimento : cause di valore fino a € 1.100,00 € 30,00; da € 1.100,01 fino a € 5.200,00 € 70,00; da € 5.200,01 fino a € 26.000,00 € 170,00; da € 26.000,01 fino a € 52.000,00 € 340,00; da € 52.000,01 fino a € 260.000,00 € 500,00; da € 260.000,01 fino a € 520.000,00 € 800,00; da € 520.000,00 e oltre € 1.110,00; vanno poi aggiunti 10 euro per ogni notifica che deve essere effettuata.
Anche per la determinazione della parcella dell’avvocato bisogna far riferimento al valore della causa, per selezionare gli importi del relativo scaglione previsti dal tariffario forense.
Due sono, però, le voci principali che compongono una parcella legale, quella relativa ai diritti e quella degli onorari.
I diritti riguardano l’attività dell’avvocato in qualità di procuratore della parte, attività che, in un certo senso, prescinde dalla sua competenza tecnica.
Cerco di spiegarmi meglio proprio riportando alcune voci di diritti, come quella relativa al versamento del contributo unificato, o alla partecipazione ad ogni udienza o per la consultazione con il cliente. Per ognuna di queste attività, previste dal tariffario, è previsto il pagamento di un determinato compenso che varia al variare del valore della causa.
Ad esempio per la partecipazione ad ogni udienza per una causa di valore compreso tra € 51.000,01 ed € 103.300,00, all’avvocato spettano 52 euro, quindi bisogna moltiplicare questo importo per tutte le udienza a cui l’avvocato partecipa. Ma, è previsto il pagamento di un diritto anche per le deduzioni a verbale fatte in udienza ed un altro per l’esame della deduzioni fatte a verbale dall’avvocato della controparte, e così via per ogni singola attività compiuta ( il tariffario ne prevede circa ottanta ).
Oltre ai diritti, come abbiamo già detto, ci sono gli onorari che spettano all’avvocato in quanto giurista o “tecnico della legge”.
In parole povere, i diritti vengono riconosciuti per il fatto stesso di compiere un’attività, come ad esempio la redazione di un atto, l’onorario, invece, per il contenuto dell’atto, ossia proprio per ciò che in concreto viene scritto in difesa del cliente.
Tra diritti ed onorari vi è una differenza fondamentale, i diritti sono a tariffa fissa, gli onorari, invece, variano da un minimo e un massimo.
Ad esempio, alla voce “studio della controversia” relativa ad una causa del valore che stiamo esaminando, corrisponde un onorario che va da un minimo di € 420 ad un massimo di € 1.255; l’assistenza a ciascuna udienza, sempre per lo stesso scaglione, va da un minimo di € 85 a un massimo di € 245, e così via.
Normalmente per la quantificazione degli onorari vengono applicati i valori medi tra i minimi e i massimi, salvo il caso in cui si tratti di causa particolarmente complesse.
Questa parcellizzazione dell’attività giudiziale, con i relativi compensi, comporta l’impossibilità di fornire al cliente un preventivo preciso di quelli che potranno essere i costi legali da sostenere per un’eventuale causa.
L’avvocato, infatti, non può sapere a priori, ad esempio, se la controparte per provare le proprie tesi chiamerà un testimone, o cinque o dieci e, in questi ultimi casi, poiché in genere per ogni udienza non vengono ascoltati più di due, o al massimo tre testi, saranno necessarie più udienze con relativo e proporzionale aumento dei costi, soprattutto nelle cause di valore più elevato.
Ciò non toglie, però, che per quanto non sia possibile fare dei preventivi precisi, ciò che più conta, a mio avviso, è rendere consapevole il cliente di questi meccanismi. E sulla consapevolezza, permettetemi di dare un caloroso benvenuto al nuovo collega Claudio Barberi, il quale nel suo contributo introduttivo ha rimarcato l’importanza di questa parola.
Per quanto riguarda, infine, i pro di un giudizio dinanzi al tribunale, abbiamo innanzitutto la garanzia di un processo giusto ed equo.
Lo sforzo della nostra normativa, infatti, è quello di consentire a tutte le parti in causa di esercitare il proprio diritto di difesa nel miglior modo possibile. E i tre gradi di giudizio che abbiamo visto prima, hanno proprio questa funzione.
Sempre per quanto riguardo i pro, c’è anche da dire che le sentenze emesse dal tribunale sono immediatamente esecutive, nel senso che si può obbligare la parte soccombente ad adempiere coattivamente a quanto da esse disposto.
Con rammarico, però, devo ammettere che questi notevoli vantaggi, soprattutto quelli relativi alle garanzie processuali,non vanno a compensare l’eccessiva durata di una causa.
Concludo, quindi, con alcune indicazioni.
Per controversie che non abbiano un eccessivo valore ci si può rivolgere all’Ombudsman o all’Arbitro Bancario Finanziario, per quelle che sono le materie di loro rispettiva competenza.
Preferire, invece, un collegio arbitrale, o il tribunale, per cause di importi elevati o comunque di particolare complessità.
Infine un consiglio operativo.
Ove possibile evitate di operare, nella vostra attività di trader, con broker stranieri, a meno che non abbiano una sede stabile in Italia. I problemi, infatti, sono sempre dietro l’angolo, e a quel punto diventerebbe molto più difficile, e quindi molto più costoso, risolvere quei problemi se in nostro broker è all’estero.
L’iscrizione alla Consob, infatti, che permette al broker di operare in Italia, in realtà non garantisce molto ( o quasi niente o niente ).
Vi lascio, come al solito, con un link per chi volesse saperne di più:
www.consiglionazionaleforense.it/on-line/Home/AreaCittadino/Calcolotarif...
Per informazioni, commenti o curiosità scrivete a:te@francescocaranti.net
Eligio Turi