Strumenti a tutela del patrimonio

     … esistono, perché non usarli? …
 
Esistono strumenti per la tutela del patrimonio, anche se sono scarsamente usati in Italia. Sono il fondo patrimoniale, il trust, i vincoli di destinazione, il contratto fiduciario, le polizze vita. Vediamoli meglio.

Il vincolo di destinazione, ex art. 2645 ter c.c. “isola” i beni, oggetto dell’atto di destinazione, dal patrimonio “generale” del soggetto, che ne è il titolare, in modo da destinarli al “perseguimento del fine”, per il quale l’atto di destinazione è stato istituito, sottraendoli, quindi, alle eventuali azioni dei creditori.
Questa rappresenta una rilevante eccezione all'articolo 2740 cc, secondo cui ciascun soggetto “risponde delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri”. Infatti, secondo quanto prescrive l’articolo 2645-ter c.c., per effetto della trascrizione dell’atto istitutivo di un vincolo di destinazione, quest’ultimo diviene opponibile ai terzi e i beni “vincolati” e i loro frutti sono sottratti a qualsiasi azione esecutiva.
Quindi, il vincolo di destinazione, consente di aggredire il patrimonio del soggetto-debitore, ma non i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore.
Il vincolo di destinazione, non pone limiti sulla natura del beneficiario, che può essere sostanzialmente “chiunque”; i beni, che possono formarne l’oggetto, devono essere “immobili o mobili registrati”; infine, i “vincoli di scopo” non hanno indicazioni particolari, dovendo solo realizzare “interessi meritevoli di tutela”, ai sensi dell’articolo 1322 c.c..
In sintesi, l’unico limite di applicazione del “vincolo di destinazione” è l’interpretazione dell’interesse meritevole di tutela.
L’interpretazione più restrittiva considera il fine di pubblica utilità come unico motivo valido per costituire un vincolo di destinazione, mentre quella meno restrittiva, ed anche più applicata, ritiene che sia sufficiente che lo scopo perseguito sia lecito, ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Altro limite è il vincolo di durata, 90 anni al massimo.
 
I fondi pensione e le polizze vita, sono tutte impignorabili ed insequestrabili, o ci sono delle differenze? Innanzitutto le polizze possono essere caso vita, caso morte o miste. Quelle caso vita, a scadenza possono prevedere la restituzione del capitale più gli interessi oppure una rendita, quelle caso morte invece possono essere temporanee o a vita intera, infine le polizze miste possono avere entrambi gli elementi, caso vita e caso morte. Quindi ci sono una miriade di variabili possibili.
Partiamo dal fatto che le pensioni sono pignorabili per un quinto, pertanto anche i fondi pensione seguono la stessa sorte.
Per le polizze vita, invece, la prima sezione della Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva all’articolo 1923, con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico per porsi al riparo dei creditori.
Infatti, con diversa interpretazione, la Corte di Cassazione ha sentenziato riguardo ai riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato. Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato o di chi risulta legittimato a riceverle possono essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento.
In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato si presuppone che siano stati sottoscritti solamente con la chiara intenzione di eludere i creditori.
Anche un’altra sentenza della Corte di Cassazione 2008 stabilisce che solo il fine previdenziale impedisce sequestro e pignoramento della polizza. Il problema è capire esattamente cosa si intende con fine previdenziale. Ad esempio, le polizze caso vita hanno fine previdenziale? Nessuno lo ha detto chiaramente, lasciando spazio ad interpretazioni e dubbi.
E i prodotti di capitalizzazione, come index e unit? Il tribunale di Parma nel 2010, a proposito delle polizze unit e index, ha stabilito che le polizze di tipo finanziario non hanno nessun fine previdenziale e quindi sono pignorabili. Ma per avere un minimo di certezza giuridica, sarà necessario attendere una nuova sentenza chiarificatrice della Corte di Cassazione.
 
Con il contratto fiduciario, la società fiduciaria assume l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni (legge n.1966 del 23 11 1939). In pratica, nel negozio fiduciario, il fiduciante trasferisce al fiduciario la titolarità di un diritto, limitandone l’uso con accordo tra le parti, per realizzare uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, per trasferire poi il diritto allo stesso fiduciario o a terzi. In parole povere, si incarica una società fiduciaria di agire per conto proprio ma in suo nome, non comparendo mai come “mandanti”. Ad esempio, si può acquistare un’azienda ma l’acquisto sarà siglato dalla fiduciaria. E’ uno strumento che serve a mantenere la privacy e la riservatezza, utilizzando una struttura riconosciuta e qualificata, nonché monitorata dall’autorità pubblica. E’ un filtro, ma non serve ad occultare nulla, perché se l’autorità chiede alla fiduciaria il nome del fiduciante, questa è obbligata a riferirlo, e inoltre le fiduciarie sono obbligate a rispettare la normativa antiriciclaggio. A cosa servono allora? A molte cose: sono innanzitutto un filtro, come già detto,  possono assumere funzione di trustee e protector, come vedremo parlando di trust, possono essere sia contraenti che beneficiari di polizze vita, possono gestire passaggi generazionali, possono intestarsi quote di società, di fondi, di obbligazioni, di titoli, di patrimoni. Inoltre la società fiduciaria è l’unico intermediario “abilitato alla compensazione delle plusvalenze e le minusvalenze di quote di società non azionarie” (per esempio le Srl) “e di redditi diversi derivanti da contratti di natura finanziaria” (come per esempio i finanziamenti e le polizze assicurative) “con le plusvalenze e le minusvalenze generate da altri strumenti finanziari trattati in regime di risparmio amministrato”(art. 6 D.lgs. n. 461/1997).
 
Il fondo patrimoniale è strettamente connesso alla famiglia: infatti deve essere costituito per far fronte ai bisogni della famiglia e perde efficacia se la famiglia cessa di esistere (divorzio, morte di uno dei coniugi...). Deve essere costituito per atto pubblico da uno o entrambi i coniugi (o anche da un terzo, ma dev’essere accettato dai coniugi) e deve destinare uno o più beni, mobili o immobili (anche i diritti reali sugli stessi, come l’usufrutto o la nuda proprietà) e iscritti in pubblici registri, o titoli di credito e destinare i medesimi appunto ai bisogni della famiglia. Quindi non si può costituire se esiste una famiglia di fatto, in caso di separazione dei coniugi, se celibi o nubili o vedovi.
I beni conferiti nel fondo patrimoniale divengono inattaccabili dai creditori, sia per quanto riguarda un debito contratti dai coniugi esercitando l’attività d’impresa, sia per azioni di responsabilità civile e professionale riguardanti liberi professionisti, amministratori, sindaci e revisori.
La Corte di Cassazione, nel 1984, ha precisato che: “i bisogni familiari tutelati dal fondo patrimoniale non sono rappresentati esclusivamente dalle esigenze di prima necessità, ma ricomprendono anche quelle esigenze volte al mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”. Come sempre, c’è spazio ad interpretazioni diverse su ciò che è voluttuario o speculativo.
Non è possibile vendere i beni del fondo, a meno che non sia previsto nell’atto costitutivo, e si vi sono figli minori, è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice.
L’aggredibilità da parte del fisco non è possibile, secondo la Cassazione, se,  il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei alla famiglia. Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita di un’obbligazione tributaria. Ovviamente valgono le regole generali sulla revocatoria ordinaria e su quella fallimentare (atti che arrecano pregiudizio ai creditori nei due anni precedenti il fallimento e quindi privi di effetto), così come le regole sulla fraudolenza (è reato costituire il fondo per sottrarsi al pagamento di imposte o sanzioni).
 
Il trust è uno strumento che non esiste nel nostro ordinamento, ma è stato accettato. In pratica, un trust italiano è regolato dalla legge estera a cui si riferisce (sono diverse le legislazioni a cui si può fare riferimento, ma bisogna sceglierne una sola, che regola interamente il trust).
Come funziona un trust? Il proprietario (disponente) di alcuni beni decide di proteggerli con un trust. Nomina un gestore (può essere anche se stesso), che amministri questi beni e un beneficiario, che gode dei profitti come deciso nell’atto costitutivo. Può anche nominare un guardiano (protector), che sorvegli che il gestore esegua correttamente le volontà del disponente (ovviamente se il gestore è lo stesso disponente, il guardiano non serve).
In pratica, c’è uno sdoppiamento della proprietà, che è in capo al gestore per ciò che riguarda l’amministrazione e in capo al beneficiario per ciò che riguarda il godimento. Questo concetto è sconosciuto nel nostro diritto, per questo si utilizza il diritto estero (anglosassone in primis), quindi il trust è un’anomalia giuridica. Cosa caratterizza un trust? I beni conferiti sono indistinti e non sono parte del patrimonio del gestore (trustee) ma sono a lui intestati (o ad altro soggetto definito dal gestore) ed è obbligato a gestire il trust secondo le legge e secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo.
I beni conferiti, quindi, costituiscono un patrimonio separato dal patrimonio del  gestore ma anche da quello del disponente (settlor) e dei beneficiari (beneficary).
Possono essere conferiti beni mobili o immobili e diritti reali di persone fisiche e/o società, ad esempio azioni, quote di società, denaro, opere d’arte, autoveicoli, arredi, sia con piena che con nuda proprietà.
Ma il trust non può essere esente da azioni revocatorie fallimentari, nè ledere la legittima in caso di eredità di successione e in generale violare le norme che regolano le garanzie reali e il diritto di proprietà.
Perché allora costituire un trust? Ad esempio può essere utilizzato quando non esiste una famiglia (famiglie di fatto, coppie divorziate, conviventi, scapoli o nubili) oppure quando si vogliono tutelare terze persone.
Devono essere seguite alcune regole, per evitare il disconoscimento da parte dell’autorità fiscale: ad esempio il disponente non può designare se stesso come beneficiario e nemmeno può essere previsto in atto, così come non può modificare i beneficiari durante la vita del trust.
 
Esiste una normativa fiscale che riguarda tutti gli strumenti sin qui citati, abbastanza complessa, che non penso sia il caso di trattare in questa sede, anche perché non sono un fiscalista, ma che sarò ben lieto di estendere a coloro che ne facessero richiesta.
 
La considerazione finale che mi permetto di fare è che, sempre, l’utilizzo di uno o più di questi strumenti deve essere fatto comprendendo quali sono le motivazioni reali che ci spingono a porre queste tutele e, sempre, avendo la visione d’insieme del patrimonio e della famiglia, con l’ausilio di un consulente che non abbia niente da vendervi se non la propria professionalità.
 
Dott. Marco Degiorgis
Consulente Patrimoniale Indipendente
Life Planner
 
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